Durata della mediazione e termini di decadenza

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Note a margine della sentenza del Tribunale di Busto Arsizio.

Tribunale Busto Arsizio sez. III, 18/02/2022, n.244

In tema di impugnazione della delibera condominiale la presentazione della domanda di mediazione impedisce la decadenza. L'avvio della mediazione determina un effetto di tipo interruttivo e non meramente sospensivo, per cui il termine per impugnare la delibera, dopo il deposito del verbale negativo della mediazione, è, di nuovo e per intero, quello di trenta giorni previsto dall'art. 1137 comma 2 c.c.

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Il Tribunale di Busto Arsizio nella decisione n. 244 del 18 febbraio 2022 (di cui è disponibile solo la massima) ha ritenuto che il deposito della domanda di mediazione produca un effetto interruttivo e non sospensivo del termine di decadenza di trenta giorni, previsto dall’art. 1137 comma 2 c.c., entro il quale può essere impugnata la delibera dell’assemblea condominiale.
Il Tribunale lombardo ritiene dunque che l’art. 5 comma 6 del D.lgs. 28/2010, laddove afferma che la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale ed “impedisce” la decadenza, vada interpretato nel senso che l’effetto che si determina con l’avvio del procedimento di mediazione sia di tipo interruttivo e non sospensivo, per cui il termine per impugnare, dopo il deposito del verbale negativo della mediazione è, di nuovo e per intero, quello di trenta giorni previsto dall’art. 1137 comma 2 c.c.
Non siamo in presenza di un principio nuovo, trovando esso conferma in numerosi precedenti giurisprudenziali, sia di legittimità (Cass. SS.UU. n. 17781/2013) che di merito (Trib. Roma sez. V, 12 marzo 2019, n. 5382; App. Palermo, 27 giugno 2017, n.1245; Trib. Milano, 2 dicembre 2016 n. 13360; Trib. Monza, 12 gennaio 2016 n. 65).
L’iter interpretativo, ricorrente nelle varie pronunce, riposa sull’affermazione che la formulazione utilizzata dal legislatore nell'art. 5 D.Lgs. 28/2010 (“impedisce la decadenza”) e l'individuazione di un nuovo termine di decorrenza, in caso di fallimento della mediazione (“decorrente dal deposito del verbale di cui all'art. 11…”), escludano che dopo il fallimento della mediazione si possa considerare tardiva la domanda giudiziale presentata nel rispetto dei termini di decadenza originari, iniziando questi a decorrere nuovamente.
Il principio così affermato sembra invero lasciare aperta una questione - non affrontata espressamente –che concerne il rapporto tra l’art. 5 comma 6 del D.lgs n. 28/2010 (esaminato dalla pronuncia in esame) e il successivo art. 6 comma 1, sulla durata del procedimento di mediazione, fissata in tre mesi.
Il dubbio concerne, in particolare, la procedibilità della domanda giudiziale anche quando il procedimento di mediazione non si sia concluso, nell’ipotesi di azioni giudiziali da esercitare entro termini di decadenza.
E’ noto come spesso il procedimento di mediazione si protragga ben oltre i tre mesi stabiliti dalla legge, allorché le parti aderiscano al superamento di detto termine in vista di un’eventuale conciliazione.
Se si ritenesse improcedibile la domanda fino a quando non si concluda il procedimento di mediazione, “prolungato” per volontà delle parti, si determinerebbe inevitabilmente il “trascinamento”, oltre ogni prevedibile scadenza, dei termini per esercitare le azioni giudiziali soggette a decadenza.
Non è infrequente che i verbali negativi vengano spesso depositati presso le segreteria degli organismi di mediazione a distanza di anni dell’avvio delle procedure, e ciò a seguito delle condotte delle parti che con le richieste di rinvio degli incontri, allungano in modo smisurato la conclusione del procedimento di mediazione.
Se è vero che il termine di decadenza di trenta giorni, per impugnare le delibere assembleari ex art. 1137 c.c. per violazione del regolamento condominiale, si interrompe a seguito della comunicazione della convocazione dinanzi all’organismo di mediazione e decorre nuovamente a seguito dell’infruttuoso esperimento della mediazione stessa (giusto il disposto dell’art. 5 comma 6 D. Lgs. n. 28/2010), è anche vero che, trattandosi di un termine di decadenza, esso non possa divenire di durata incerta ed indeterminabile, a seconda della scelta arbitraria delle parti di condurre o meno oltre il termine massimo di durata il procedimento di mediazione, termine fissato per legge in tre mesi (art. 6 comma 1 D. Lgs. n. 28/2010).
I termini decadenziali previsti per legge non sono infatti nella disponibilità delle parti e possono essere soggetti a proroga, sospensione o interruzione, solo nei casi eccezionali tassativamente previsti (Cass. civ. Sez. I, 06-12-2000, n. 15491). In quest’ottica deve ritenersi che il procedimento di mediazione, protrattosi oltre il termine di legge per volontà delle parti, abbia perso la sua “tipicità” e non sia in grado di fare salvi, per tutta la sua durata “ulteriore”, gli effetti interruttivi e sospensivi eccezionalmente previsti dall’art. 5 comma 6 citato, disposizione quest’ultima che va letta in termini di stretto diritto.
Non vale a fondare una diversa argomentazione l’indirizzo giurisprudenziale che fissa l’inizio del nuovo termine decadenziale ex art. 1137 c.c. sic et simpliciter dal deposito del verbale di mancato raggiungimento dell’accordo, come può leggersi in alcune pronunce di merito. Questo indirizzo si è formato in relazione a fattispecie in cui il procedimento di mediazione si è concluso nei termini di legge previsti dall’art. 6 del Dlgs n. 28/2010 (cfr. Corte appello Palermo, sez. II, 27/06/2017, n. 1245; Tribunale Milano, sez. XIII, 02/12/2016, n. 13360).
Come osservato in un precedente del Tribunale di Roma “la durata massima del procedimento di mediazione è stata stabilita allo scopo di evitare che le parti fossero assoggettate sine die al divieto di rivolgersi all'Autorità giudiziaria se non dopo aver fatto ricorso alla procedura di mediazione (…) ne consegue che tale limite temporale non può che operare esclusivamente per l'azionabilità delle domande in sede giudiziale e non, viceversa, costituire un limite temporale per la formazione dell'accordo” (Tribunale Roma, sez. VIII, 22/10/2014). Ciò giustifica la possibilità offerta alle parti di travalicare il termine di legge stabilito per la durata del procedimento, ma non autorizza l’automatico superamento anche dei termini decadenziali, al di fuori del procedimento “tipico” (che dura appunto i tre mesi di legge).
A parere di chi scrive il termine indicato dall’art. 6 del Dlgs n. 28/2010, fino al momento del suo totale esaurimento, ha rilevanza sostanziale e processuale: da un lato agevolando le parti nella ricerca di un accordo conciliativo e, dall’altro, impedendo che si inizi il giudizio in ossequio alle finalità deflattive del Dlgs n. 28/2010. Allo scadere dei tre mesi, però, quel termine assume rilevanza esclusivamente extraprocessuale, lasciando comunque alle parti la libertà di continuare nella ricerca dell’accordo conciliativo ma obbligandole ad iniziare tempestivamente il giudizio per non incorrere in decadenza.
Una volta iniziato il giudizio, con lo scopo di impedire lo spirare del termine decadenziale, nulla vieta al Giudice di disporre un rinvio del processo per consentire la prosecuzione del procedimento di mediazione. E’ stato in proposito giustamente osservato che «è vero che, in linea di principio, il “tempo del processo” è sottratto alla disponibilità delle parti, ma è anche vero che, per il caso della mediazione, non si tratta di tempo inutilmente consumato, ma di energie temporali spese vuoi per l’interesse delle parti ad una composizione bonaria della lite, vuoi per l’interesse pubblico ad una deflazione del contenzioso» e che «diversamente opinando, dovrebbe ritenersi che, scaduto il termine, il giudice, pur di fronte alla mediazione in corso, dovrebbe proseguire nelle attività processuali causando così danno alle buone possibilità di assetto di composizione bonario, testimoniato dal fatto che i litiganti sono per loro volontà ancora impegnati al tavolo dei mediatori» (Tribunale di Varese, ordinanza 20 giugno 2012).
In buona sostanza, restando all’esempio dell’impugnazione delle delibere condominiali, se le parti sono libere di continuare nella ricerca dell’accordo conciliativo anche oltre la scadenza dei tre mesi prevista dall’art. 6 comma 1, decorso questo termine la parte interessata all’impugnativa della delibera condominiale sarà tenuta a presentare la domanda giudiziale, non potendo attendere che venga depositato il verbale negativo presso l’organismo di mediazione.
Tale assunto sembra ricavabile dallo stesso art. 5 comma 1 bis del Dlgs n. 28/2010 ove si prevede che “il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6”. Il senso di quest’ultima disposizione non potrebbe spiegarsi altrimenti se non riferito proprio all’ipotesi in cui sia stato avviato il procedimento di mediazione, questo non si sia concluso nel termine di tre mesi ed una delle parti – a mediazione ancora in corso – abbia iniziato il giudizio.
In conclusione, deve ritenersi che il decorso del termine massimo di durata di cui all’art. 6 del Dlgs n. 28/2010, rende procedibile la domanda giudiziale anche quando il procedimento di mediazione non si sia concluso. Ma anche che, a seguito dello spirare del termine dei tre mesi, senz’altro inizi a decorrere nuovamente il termine di decadenza previsto dall’art. 1137 c.c. per impugnare la delibera assembleare. Ciò anche nell’interesse di tutti i condomini, e non solo di coloro che hanno avviato la procedura di mediazione, che devono poter fare affidamento sulla perentorietà dei termini di decadenza stabiliti per le impugnazioni delle delibere condominiali, che devono essere necessariamente agganciati a disposizioni di legge e non invece ad imprevedibili accordi delle parti che decidano di accedere alla mediazione e ne prolunghino i tempi.
Marcella Fiorini
 
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